FANTASYA

SULLE ALI DELLA FANTASIA

LA NOTTE DELLE STREGHE!!

Questa è la notte di Halloween, la notte delle streghe! Quale occasione migliore per leggere un buon romanzo sul tema? Ma occhio: non parlo delle streghe dal naso lungo e dal cappello a punta in groppa a vecchie scope, e nemmeno di quelle donne dotate di misteriosi poteri magici e capaci di potenti sortilegi! No, no, parlo delle streghe nella storia, donne comuni, spesso povere, che per sventura o per colpa sono state accusate dalla Chiesa di eresia e condannate al rogo.
Quale pagina più buia di questa nella storia dell'uomo? 
Parlo di ciò nel mio romanzo I DEMONI DI MEZZANOTTE, e in questo giorno cupo vi dedico il prologo e il primo capitolo.

Buona lettura!


"Prologo


29 maggio 1518, Breno, Val Camonica


Il cavallo galoppava senza un attimo di tregua lungo lo stretto sentiero disegnato nel bosco, i muscoli erano tesi al massimo e una densa schiuma bianca fuoriusciva dalla bocca a causa del terribile sforzo.
Era notte inoltrata e l'aria era rotta dalle urla di una donna che incitava il destriero a correre più forte. All'interno degli alberi il buio divorava ogni cosa, ma lei non se ne preoccupò, conosceva quella zona molto bene e sapeva che se fosse riuscita a oltrepassare la collina sarebbe stata salva.
Tra le sue gambe due bambini terribilmente spaventati si reggevano con disperazione al collo dell'animale e a ogni contraccolpo mandavano gemiti di paura. Nonostante li avesse assicurati alla sella mediante fibbie di cuoio, la donna li sorreggeva con un braccio, curandosi di guidare il cavallo e di impedire che per qualsiasi motivo essi cadessero. Se ciò fosse accaduto, per loro, e per lei, sarebbe stata la fine.
Non sapeva da quanto tempo galoppavano in quel buio, forse ore o solo alcuni minuti, chi poteva dirlo? La cosa più importante in quel momento era giungere dall'altra parte della collina, dirigersi verso le vicine montagne, dove si diceva vi fossero molte grotte, e lì nascondersi fino al nuovo giorno, quando tutti e tre se ne sarebbero andati da quella terra maledetta. Sentiva che la stavano braccando, tutte le forze del Vicariato erano schierate intorno a lei, udiva in lontananza l'abbaiare dei cani e le urla isteriche degli uomini che li aizzavano all'inseguimento.
Oltre, giungeva anche la voce dei contadini... quei vili, meschini, traditori! Era cresciuta in mezzo a loro, li aveva aiutati e amati. E in cambio? Persecuzione! Ecco cos'aveva ottenuto, solo sospetti e persecuzione. 
Quando si era resa conto che le cose stavano cambiando, aveva preso i suoi figli ed era fuggita, lasciando la casa alle cure di Amelia, l'unica e fidata amica. Aveva sellato il cavallo e assicurato i bambini ai finimenti, poi se n'era andata per sempre.
A nulla era valso; loro l'avevano vista e inseguita, le avevano addirittura sparato, nella vana speranza di porre fine sul nascere alla sua fuga. Lei però era riuscita a scappare lo stesso, attraverso campi e case, strade di terra e di pietra, fino a lì, fino a quel bosco che era stata la causa indiretta dei suoi mali e delle persecuzioni. Ora li aveva tutti alle spalle, i soldati, con i loro archibugi pronti a fare fuoco, e gli uomini del paese, venuti a rivendicare torti mai subìti ma solo immaginati. E lei galoppava in quel buio, costretta a fuggire dalle terribili colpe di cui era stata accusata.
L'aria calda dell'estate imminente le faceva sudare il volto e il corpo, il busto le stringeva il petto soffocandola e il vestito la infastidiva nei movimenti; ma non poteva rallentare, anzi, doveva muoversi. Diede un forte calcio sul fianco del cavallo e lo costrinse ad abbandonare il sentiero e immergersi nel folto del bosco. I cani avrebbero comunque seguito le sue tracce ma almeno li avrebbe condotti in luoghi ostili e conosciuti a pochi. Con un nitrito l'animale diede una sgroppata e si diresse a destra, dove la vegetazione era fitta e quasi impraticabile.
Dobbiamo farcela, Signore, ti prego, aiutami! pensò la donna, mentre altre lacrime le solcavano il volto.
- Mamma, dove stiamo andando? - gridò la bambina, che si reggeva come poteva al fratello, seduto davanti a lei. La donna non disse nulla e allora la bimba cominciò a piangere.
- Zitta, Agata, non distrarre la mamma - le rispose il fratello, afferrandole una mano.
Poveri piccoli, sono così innocenti! Hanno solo cinque anni! Signore ti supplico, risparmia almeno loro dalla cattiveria dell'uomo! pensò la donna, cercando di districare al meglio il cavallo dalla giungla di rovi e felci.
Non fu così facile come aveva sperato: i rami sferzavano l'aria come fruste e ben presto il cavallo rallentò a causa delle spine che gli graffiavano zampe e petto. Biancamaria tentò invano di farlo accelerare, ma ottenne solo dei sonori nitriti, che rimbombarono come spari nella notte.
- Avanti, avanti, andiamo! Non puoi fermarti ora! - mugugnò tra i denti.
Strattonò le redini e riuscì a condurlo oltre i cespugli insidiosi. La luna piena, attraverso il fogliame degli alberi, mostrava appena le sagome vaghe che spuntavano dal sottobosco e grazie a essa la donna poté ritrovare un piccolo sentiero appena accennato, che le consentì di riprendere il galoppo. Tra le sue braccia i bambini piangevano a bassa voce. Biancamaria temeva per loro più che per se stessa e sperò con tutto il cuore di riuscire a salvarli dalla rabbia ingiusta che si stava scatenando sulla sua famiglia.
Ancora poco... forza, resisti! si disse per farsi coraggio.
Ormai aveva raggiunto la sommità della collina e le urla della gente erano lontane dietro di lei, sempre presenti ma per il momento come innocue voci dall'oltretomba. In quel punto gli alberi svanirono improvvisamente e una grande radura si aprì, illuminata dalla sinistra e fredda luce della luna. Conosceva quel luogo e non avrebbe mai immaginato che potesse diventare la causa di tutto.
Si rivide intenta a medicare una ferita o mentre cullava tra le braccia un bambino appena nato. Aveva fatto quelle cose per tanti anni e mai nessuno le aveva contestato nulla, anzi erano sempre venuti da lei quando avevano bisogno di aiuto. Il ricordo di tre sere prima, però, tornò a ferirla come una lama: la casa buia in cui stava per nascere un altro bimbo, e il letto sporco in cui la madre si dibatteva per metterlo al mondo.
Rivide di nuovo i suoi occhi lucidi, le mani che stringevano le lenzuola umide di sudore, e udì le grida che lanciava. Poi il sangue, copioso e viscido, che sporcava il tessuto e le sue mani, e infine quella piccola testa, dove occhi ciechi fissavano il vuoto.
Gemette e fece rallentare il cavallo, poi per un attimo si voltò a guardare la boscaglia e la vallata che aveva appena abbandonato. Da quella parte, lontano, il suo villaggio era in fermento, decine di fuochi erano stati accesi e tutta la popolazione si era mossa alla sua ricerca. Il vento lieve le portò l'odore acre del fumo e della cenere e l'eco del continuo abbaiare dei cani.
Devo fare in fretta, pensò, e con un altro energico calcio riprese la fuga.
Ma subito si bloccò. Dall'altra parte della radura, dove la collina scendeva precipitosamente verso alcuni crepacci, un lungo serpente di uomini risaliva il sentiero. Alla testa del gruppo c'era il Vicario stesso, accompagnato dai suoi seguaci.
No!
D'impulso tirò le redini verso sinistra, con l'intenzione di fuggire nella direzione dalla quale era arrivata.
- Tu! - sentì berciare.
Si voltò e in fondo alla radura il Vicario la indicava con l'indice proteso, un dito che accusava più di qualsiasi condanna. Biancamaria non si lasciò intimorire, incitò il cavallo e tornò indietro.
- Fermatevi! - l'urlo del Vicario fu seguito da quello dei soldati che cominciavano l'inseguimento.
Biancamaria galoppò fino al margine del bosco, ma in quel momento il resto degli archibugieri comparve all'improvviso dal nulla, come creato dalla notte stessa. Urlò e bloccò subito il cavallo, quindi si voltò dall'altra parte ma non trovò via di fuga. Era circondata.
In breve decine di soldati si disposero intorno a lei e ai figli. La bimba cominciò a piangere ma fu subito zittita dal fratello, che la strinse a sé. Biancamaria guardò con sdegno ogni singolo uomo che la braccava e loro rabbrividirono sotto i suoi occhi gelidi.
- È venuto il momento della redenzione, Biancamaria da Baer, continuando a fuggire potrete solo appesantire la vostra
condanna - tuonò sinistro il Vicario.
- Che siate maledetto! - esclamò lei, tremando dalla rabbia. L'uomo s'irritò a quelle parole e si fece subito il segno della croce.
- Prendetela! - ordinò.
Biancamaria vide allora la sua fine, tentò ancora una volta di aprirsi un varco tra i soldati e di fuggire ma gli uomini furono più rapidi: si accalcarono intorno a lei, afferrarono le vesti e iniziarono a tirarle verso il basso. Istintivamente strinse i figli, che avevano cominciato a gridare e piangere suppli-
cando un aiuto che sapevano non sarebbe mai giunto.
Sotto quelle continue spinte, Biancamaria perse l'equilibrio e la presa sui bambini, e cadde a terra. Subito decine di mani la presero per le braccia, le gambe e i capelli, e cominciarono a infierire sul suo corpo con pugni e calci. Lacrime amare le scivolarono lungo le guance, mescolandosi al sangue che colava da un labbro. Urlò, invocando i nomi dei figli e tentando di liberarsi dalla stretta ferrea dei soldati, ma ricevette un altro schiaffo sul volto e allora si arrese.
Dio onnipotente e misericordioso, perdonali perché non sanno quel che fanno... perdonali e perdonami perché non sono riuscita a proteggere i miei figli... abbi pietà di loro, pregò, abbandonandosi al pianto e alle urla di dolore.
Poi sentì un pesante colpo sulla testa e subito dopo il nulla la travolse. 

"... l'ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto
a Dio, faranno questo perché non hanno conosciuto né il padre né
me..."
Vangelo di Giovanni (16, 3) 


1


24 novembre 1528, Cemmo, Val Camonica


C'era molta gente intorno a lei, decine e decine di volti sudavano al calore di giugno e mille voci parlavano e gridavano tutte assieme, stordendola.
Si erano radunati sul colle più alto del paese, non ne conosceva il nome ma ricordava bene il gigantesco olmo che, al centro, scrutava tutt'intorno guardingo. Ora, ai suoi piedi, otto enormi roghi bruciavano con forza, illuminando la notte e scaldandola più del dovuto.
La sua fronte sudava mentre fissava la pira centrale, ciò che restava del fuoco e ciò che bruciava in esso. Anche gli occhi iniziarono a lacrimare, enormi goccioloni le appannarono la vista e una grande paura le fece tremare le labbra. Suo fratello era accanto a lei e lestringeva la mano per darle conforto. Lo guardò e deglutì, anche in un momento come quello rimaneva serio a fissare le spire ardenti che si levavano nel cielo e le scintille che danzavano nel buio. Lei invece voleva piangere, urlare, correre verso quel vortice per entrarvi e andare da sua mamma, ovunque il fuoco la stesse portando.
La gente intorno rideva e si divertiva, incurante del suo dolore; in molti urlavano strane parole e gettavano sassi e terra contro le pire, come per scongiurare qualcosa. Non capiva perché si comportavano così, cosa c'era da ridere? Avanzò di un passo verso la gigantescafiamma rossa ma una mano forte la afferrò per la spalla e la spinse all'indietro. Sia lei che il fratello si voltarono, spaventati.
"Venite bambini, dobbiamo andare" disse Amelia, la donna che li aveva visti nascere cinque anni prima.
Annuirono, le afferrarono la mano e s'immersero nella folla acclamante. Si fidavano di lei perché era stata tanto amica della loro mamma.
Prima di allontanarsi del tutto Agata si voltò un'ultima volta verso il fuoco. Lì, appeso al lungo palo, lo scheletro bruciato di sua madre parve sorriderle ancora. 

Si svegliò di soprassalto, madida di sudore.
Quell'incubo... ancora quel terribile incubo.
Era trascorso così tanto tempo da quel giorno, ma ancora non riusciva a smettere di rivedere, nel profondo dei suoi sogni, la gigantesca fiamma che inghiottiva sua madre.
Signore pietà... Si massaggiò le tempie per tentare di scacciare il ricordo orribile e poco alla volta la sgradevole sensazione di angoscia passò, lasciando il posto al vuoto e alla tristezza.
Guardò fuori dalla piccola finestrella in alto e notò che mancava poco all'alba. Il cielo era di un blu intenso e alcune nuvole passavano innocue, dirette altrove. Si voltò allora verso il letto accanto, dove dormiva suo fratello gemello, Giacomo. Da lì ne intravedeva appena la sagoma robusta, avvolta dagli
strati di coperte.
Tutto tace, pensò.
Districandosi dalla pesante coperta di lana che si era arrotolata intorno al corpo, si alzò, passò in punta di piedi accanto ad Amelia, nient'altro che un fagotto che dormiva in un angolo, e girò intorno al vecchio tavolo di legno. Nel camino la legna si era quasi del tutto consumata e un paiolo era appoggiato in un angolo. La luce della notte filtrava dalla finestra più grande, proprio davanti a lei, e rendeva la casa tetra e fredda, ma Agata sapeva che quando il sole si fosse levato quella stessa stanza si sarebbe illuminata come nessun'altra nel paese, perché isolata e orientata verso sud. Il freddo dell'inverno che cominciava sarebbe stato meno rigido con il favore della luce calda del sole.
Avvolta con un lungo scialle di lana, si avvicinò al paiolo per vedere se c'era ancora acqua all'interno. V'infilò la tazza e scoprì con piacere che ne era avanzato qualche goccio. Ne bevve un sorso; nonostante la vicinanza col camino era piuttosto fredda e scese nella gola dandole i brividi.
Signore benedici quest'acqua.
Poggiò la tazza sul tavolo e si voltò, decisa a tornare a letto.
Le immagini dell'incubo si erano del tutto affievolite e forse sarebbe riuscita a riprendere sonno, prima che l'alba la richiamasse ai suoi doveri quotidiani. Ma una sagoma scura dietro di lei la fece sobbalzare.
- Ehi! - la voce profonda del fratello rimbombò nella stanza. 
- Giacomo... mi hai spaventata - Agata abbassò lo sguardo e i lunghi capelli le scesero sul volto per coprirne l'imbarazzo.
- Cosa stavi facendo? - chiese lui.
- Nulla... mi ero alzata perché non riuscivo a dormire - mentì.
Fece per tornare a letto, ma una mano la bloccò.
- Agata, lo sai che l'acqua scarseggia al vecchio pozzo, non dovresti abusarne - Giacomo la tirò verso di sé, in modo da poterle bisbigliare all'orecchio. Nel pagliericcio Amelia si agitò e per un attimo tra i due calò il silenzio.
- Lo so, ma avevo sete - Agata cercò di giustificarsi e sperò che la vecchia balia non avesse udito nulla.
- Non è una buona scusa - la rimbeccò il fratello.
Era lui che andava ogni giorno al pozzo, pagando parecchie monete al proprietario per acquistarne qualche secchio, e Agata sapeva che non sopportava venisse sperperata in quel modo.
- Hai ragione, ma... ero sudata e la gola bruciava... - disse allora in difesa.
- Come sudata? Vieni qua! - Giacomo la fece avvicinare ancora di più e le tastò la fronte e i lati del collo. - Ti senti male? Hai la febbre? - continuò a toccarle il viso ma Agata si scostò con forza.
- No, Giacomo, sto benissimo, tranquillo!
- Non mentirmi, appena ti senti la febbre devi dirlo subito, lo sai che non possiamo permetterci un dottore! - il suo respiro si fece teso e profondo.
- Non sto mentendo, ti ho detto che sto bene! E sì, lo so quello che devo fare! - Agata si allontanò e tornò verso il suo letto, dove si sedette a contemplare l'alba che fuori nasceva.
- È stato ancora il fuoco - disse infine, mentre gli occhi ricominciavano a bruciarle.
Giacomo si avvicinò e si sedette accanto a lei nel piccolo letto disfatto, poi lasciò scivolare una mano sulla sua spalla. Agata sentì a malapena le dita sfiorarla, coperta com'era dal camice di lana grezzo che indossava, ma capì cosa voleva dirle.
- È passato tanto tempo da quell'estate, ma non ho mai dimenticato la notte in cui morì. Per anni mi sono chiesta il perché di quell'orribile gesto, il perché della nostra fuga, il perché di tanta crudeltà... Cos'aveva fatto di male? Cosa potevano avere le persone contro di lei? Io la ricordo appena,
però rammento che non era malvagia, curava le persone, le amava e loro amavano lei... Ma allora, perché? - Agata non riuscì a trattenere le lacrime, così le lasciò libere di scorrere.
- Sorellina, ora basta! Non puoi vivere sempre con quest'angoscia dentro! Purtroppo non tutti hanno capito chi fosse veramente, né il motivo per cui facesse quel che faceva; è stata condannata perché ritenuta una strega e sai bene come funzioni la cosa - Giacomo le accarezzò i capelli, ma lei si scostò di colpo.
- Non era una strega! Non osare mai più dirlo!
- Scusa, non volevo... Ora però non pensarci più, queste domande dovranno restare senza risposta. Pensa che ti protegge dal cielo e che non è felice sapendo che soffri ancora per lei.
Agata gli sorrise e si asciugò le lacrime. Era un vecchio trucco, ma funzionava sempre.
- Hai ragione fratellino, lei non lo vorrebbe.
- Ecco, brava. Ora dormi, tra poche ore il lavoro ci chiama.
Agata si sdraiò, era più tranquilla ma lo stesso il peso di quell'assurda morte le gravava nel cuore come un macigno.
Un giorno scoprirò la verità, scoprirò perché sei morta, pensò.
Chiuse gli occhi e si abbandonò alle ultime ore di riposo.

La voce di Amelia riecheggiò nell'orto più sonora della sveglia del campanile del villaggio.
- Agata! Svegliati ragazza! È tardi!
Agata si mosse nel letto ma non si alzò, udì la porta che si spalancava e lì la voce della balia divenne talmente forte da penetrare il torpore del sonno.
- Allora? Che ti prende? Si batte la fiacca oggi? Alzati subito! - Amelia scostò con forza le coperte e lasciò che il freddo che entrava dalla porta spalancata facesse il resto.
- È già l'alba? - chiese Agata, rabbrividendo e cercando di coprirsi di nuovo.
- Sì, signorina, da almeno un quarto d'ora! - la donna, piuttosto grossa e avvolta dal grembiule marrone che usava quando lavorava nell'orto, si allontanò verso la porta e la socchiuse. 
Agata si sollevò con uno sbuffo.
- Giacomo è già andato in paese? - chiese, mentre si sistemava i capelli mossi e ribelli.
- Come sempre - rispose lei.
Agata terminò di intrecciare i capelli e si avvolse con lo scialle di lana, poi si girò a guardare la balia. Era ormai vicina alla cinquantina, il volto rotondo e paffuto era ricoperto da una sottile rete di rughe che incorniciavano occhi piccoli e seri. Teneva i capelli, ormai grigi e opachi, raccolti in una crocchia sulla nuca e coperti da un fazzoletto stinto.
Si avvicinò alle sue spalle e le cinse la vita larga e piena, quindi le schioccò un bacio sulla guancia.
- Buongiorno! - sussurrò.
Amelia si voltò a guardarla corrucciata. Occhi color grigio scuro luccicarono e la fissarono con malizia.
- Sì, sì, buongiorno. Ma non pensare di cavartela così facilmente oggi! Il pollaio aspetta di essere ripulito, bisogna raccogliere le uova e mungere le due vacche, in modo da poter vendere qualcosa più tardi al mercato - disse facendole volteggiare un mestolo sotto il naso.
Agata la fissò con una smorfia di disapprovazione che subito dopo si trasformò in un sospiro. Non aveva molta scelta, quel lavoro le toccava sempre e ci era ormai abituata. Era difficile però abituarsi al freddo pungente di quella stagione, che tagliava la pelle delle mani e del viso.
- Va bene - si limitò a dire, mentre Amelia le porgeva una tazza di latte caldo e alcuni biscotti secchi.
Si sedette e mangiò con calma, gustandosi quanto più poteva quella colazione dato che fino a mezzogiorno non avrebbe toccato altro cibo.
- Perfetto, allora al lavoro. Io sono sul retro a rivoltare la terra dell'orto affinché non geli - disse la donna, si pulì le mani con uno strofinaccio e uscì.
Agata rimase seduta su una delle quattro sedie consumate a fissare l'unica stanza di cui la casa era composta: la zona notte, con tre pagliericci vecchi e malandati a far da giaciglio per dormire, e la zona giorno, dove un enorme tavolo occupava la maggior parte dello spazio restante.
Solo due finestre illuminavano la stanza, una tra la porta d'ingresso e il camino e un'altra, più piccola, sopra i letti. La luce del sole penetrava copiosa e illuminava ogni angolo, e in maniera particolare la polvere e le ragnatele che si raccoglievano abbondanti sul soffitto, fatto di travi di legno scuro incastrate tra loro. Agata le osservò per qualche istante e pensò che prima o poi si sarebbe dovuta armare di coraggio ed eliminarle.
Finì gli ultimi biscotti e si alzò, da fuori proveniva solo il rumore della zappa che fendeva l'aria e ricadeva con un tonfo nella terra gelida dell'orto. Faceva talmente freddo che non si udivano nemmeno le due vacche nella stalla. Poggiò la ciotola sul mobile della dispensa, posto a lato del camino, e si diresse verso la cassapanca di legno addossata al suo letto, dove erano riposti i pochi vestiti che possedevano.
L'aprì e l'anta si sollevò con un sonoro cigolio, afferrò la tunica da lavoro, nulla più che un vestito di stoffa pesante adatta al freddo di quelle colline, e lo indossò in fretta direttamente sopra la camicia da notte. Si avvolse di nuovo lo scialle intorno alle spalle, raccolse la treccia di capelli sulla nuca e uscì dalla casa, pronta per immergersi nella puzza del pollaio.
Benché se lo aspettasse, quando uscì rimase lo stesso colpita dall'aria gelida che spirava e che nemmeno il sole abbagliante riusciva a mitigare. Rabbrividì e percorse lo stretto cortile che girava attorno alla casa, oltrepassò il recinto delle capre e dell'unico cavallo e si diresse verso il pollaio. Una volta lì, afferrò un secchio e lo riempì con poca acqua che tenevano in una botte, prese una scopa, si armò di tanta pazienza ed entrò nel locale angusto, dove fu subito accolta da una selva di starnazzi di spavento.
- Bene, mi aspetta un lungo lavoro - si disse guardandosi intorno.
Alla sua vista le galline corsero immediatamente verso il fondo, lasciando in bella vista i pagliericci su cui dormivano e le immense quantità di sporcizia che producevano ogni giorno. Oltre a pulire, avrebbe dovuto cambiare la paglia e spargere il becchime, e ciò le avrebbe portato via più tempo di quanto avesse immaginato. Fece allora un profondo respiro, quel lavoro lo aveva fatto tante volte da quando, a dieci anni, Amelia le aveva insegnato tutti i mestieri per portare avanti la piccola casa. Così poggiò a terra il secchio e la scopa e cominciò a raccogliere le uova fresche, adagiandole con delicatezza in un grosso cesto. Se tutto fosse andato bene, la vecchia balia le avrebbe vendute al mercato di mezzogiorno, assieme a qualche bottiglia di latte, e con i soldi ricavati avrebbero potuto comprare la farina per preparare il pane oppure una delle sue squisite torte.
Una volta finito con le uova, la ragazza condusse tutte le galline nel recinto, dove diede loro da mangiare, quindi si dedicò per gran parte della mattina al cambio della paglia e alla pulizia del pollaio. Era un lavoro faticoso e dovette fermarsi spesso per riposare.
In quei momenti di pausa sentiva la voce di Amelia in lontananza, cantava una vecchia canzone che, diceva, serviva alle mucche per produrre più latte. Agata non ne era troppo convinta, ma non le aveva mai detto nulla, limitandosi a sorridere e scuotere la testa.
Povere bestie, cosa tocca loro sopportare, pensò, ridendo.
Verso la fine della mattina Agata aveva finalmente finito di sistemare la paglia pulita ai lati del pollaio. Un lieve brontolio della pancia le annunciò che l'ora di pranzo si avvicinava così si affrettò, uscì nel cortile, svuotò il secchio, raccolse il cesto con le uova e andò in cerca della balia. La trovò accanto alla porta d'ingresso della casa, intenta a preparare il carro da portare al mercato. All'interno vi aveva messo quattro grosse bottiglie di latte appena munto e tre cesti di mele, raccolte dagli alberi che crescevano dietro la casa.
- Stai andando? - chiese.
- Sì - rispose la donna.
- Guarda un po' qua - Agata sollevò il cesto e le mostrò le uova.
- Oh, ma che meraviglia! Stamattina le nostre donzelle hanno fatto miracoli! - Amelia spalancò gli occhi e sorrise entusiasta.
- Ne ho tenute da parte anche per noi - Agata gliele porse e la donna le dispose con cura accanto alla restante mercanzia.
- Giacomo non è ancora tornato?
Amelia si guardò alle spalle, verso il sentiero che dal paese portava alla loro casa, e fece spallucce.
- Tornerà tra poco, vedrai - si limitò a dire, continuando a sistemare il carro. - Vado a prendere Norvo - aggiunse e si allontanò con un sorriso sulle labbra.
- Non stancare quel povero cavallo - una voce improvvisa fece sobbalzare la ragazza, che si voltò verso il bosco.
Giacomo giungeva da quella parte, anziché dal sentiero, e reggeva sulle spalle due botti di legno enormi. Al suo fianco Musòn, il loro cane, annusava tutto e scodinzolò quando la vide. Agata sorrise e lo raggiunse per aiutarlo.
- Ciao fratellino, cominciavo a preoccuparmi - gli disse, cercando di afferrare una delle botti.
- E di cosa? Lascia stare queste, sono troppo pesanti per te - disse lui, abbassandosi e lasciandole scivolare per terra.
Musòn gli girò attorno abbaiando, poi corse verso Amelia che tornava con Norvo.
- Cosa ci hai portato? - chiese la donna.
- Acqua, ottenuta dopo un'intensa contrattazione. Quell'uomo, Gianni, sta diventando vecchio e ogni giorno sempre più cocciuto. Non è stato facile acquistare queste due botti anche perché pare che l'acqua cominci a scarseggiare sul serio - rispose il giovane allungando la schiena.
Agata lo fissò incredula.
- Come? E cosa faremo se dovesse finire prima che nevichi? - chiese preoccupata.
Giacomo si voltò verso di lei e la squadrò serio. Agata rimase ancora una volta stupita dagli occhi grigi che impreziosivano un volto dai lineamenti rudi e giovani. Erano così diversi dai suoi, più simili all'oro del grano maturo. Le uniche cose che li accomunavano erano il colore dei capelli, di un castano chiarissimo, e la forma del viso, quasi ovale e dal mento appuntito.
- Non lo so, ma bisogna razionare bene queste scorte, perché se non dovesse piovere, potrebbero essere le ultime - rispose lui scuotendo la testa.
Sistemò i due recipienti in un angolo riparato e scomparve in casa.
- Giacomo ha ragione, di cibo per il momento ne abbiamo a sufficienza, ma l'acqua è importante, dobbiamo fare attenzione - disse Amelia, poi afferrò la corda che legava Norvo e cominciò a tirarlo. - Vado in paese, raggiungimi più tardi, così mi aiuterai a portare a casa questo stupido ronzino - Amelia diede uno strattone e il piccolo cavallo, dal pelo scuro e lungo e non più tanto giovane, si mosse con uno sbuffo sonoro.
- Va bene, finisco di sistemare in casa e ti raggiungo - rispose Agata con un sorriso.
L'accompagnò fino al sentiero e lì rimase a guardarla mentre si allontanava giù per la collina, verso il paese. Si vedeva chiaramente il mercato che animava una piccola zona al centro, mentre sulla collina opposta, alla sua destra, troneggiava la grande casa del Duca, proprietario di tutti i terreni della zona.
- Agata - la voce improvvisa e seria del fratello catturò la sua attenzione.
Si voltò e lo vide fermo accanto alla porta della casa, gli sorrise e lo raggiunse.
- Te lo dico, anche se so che non ce n'è bisogno. Sai bene anche tu che non possiamo permetterci molte provviste, il raccolto è stato scarso quest'estate e per fortuna quei pochi animali che abbiamo ci permettono di andare avanti. Perciò stai attenta - la ammonì, puntandole contro un dito.
Agata lo fissò corrucciata: alle volte suo fratello diventava proprio insopportabile, ma non poté offendersi, aveva ragione, così si limitò ad annuire e a distogliere lo sguardo. Giacomo si cambiò il maglione logoro e ne indossò uno più pulito, ma ugualmente provato dall'uso quotidiano.
- Amelia ha zappato l'orto da sola? - chiese lui poco dopo, guardando fuori dalla piccola finestra della zona notte, da
dove si vedeva il terreno che coltivavano.
- Sì, mi ha mandata a pulire il pollaio. Stamattina le nostre galline hanno deposto un bel po' di uova, Amelia era contentissima! - rispose.
Ravvivò il fuoco nel camino con altra legna e si voltò per sistemare il tavolo, come sempre pieno di ogni sorta di attrezzo.
- Meno male che ci pensano loro a salvarci. Sono sicuro che riuscirà a venderle bene. Non tutti possono vantare il numero di galline che abbiamo noi - replicò lui. 
Si avvicinò e la osservò mentre raccoglieva alcuni piatti e li impilava sul mobile.
- Vuoi una mano?
Agata si girò per guardarlo, stupita dalla domanda.
- Come vuoi, io devo finire di fare i letti, puoi portare questa roba nella capanna - gli disse, porgendogli alcuni arnesi da lavoro che Amelia aveva lasciato sul tavolo.
Giacomo li afferrò e, senza dire nulla, uscì. Agata cominciò allora a sistemare per bene i letti e, quando finì di mettere in ordine l'ultimo, i rintocchi lontani della chiesa segnarono la metà della mattina. Doveva andare al mercato o la vecchia balia l'avrebbe sgridata, come già era successo in passato.
- Accidenti! - esclamò.
Si tolse lo scialle, la veste da lavoro, la camicia da notte e rimase con indosso solo le mutande lunghe, quindi corse alla cassapanca per infilare qualcosa di più decente. Il corpo, magro e formoso, rabbrividì al contatto con l'aria fredda della stanza, allora si affrettò a scegliere i vestiti. Prese l'unico corsetto che aveva, il regalo di Amelia per i suoi tredici anni, e lo fece passare intorno al busto e ai seni. Tirò i ganci sulla schiena per allacciarlo, ma non ci riuscì. Riprovò con più forza, trattenendo il respiro, ma niente. Allora rilassò le spalle e sbuffò.
Questo dannato affare comincia a stare stretto.
Si guardò i seni, erano cresciuti parecchio nell'ultimo anno e proprio per quel motivo ormai non riusciva più a chiudere il corsetto. Sollevò gli occhi al soffitto, trattenne il respiro più che poté e riprovò ad allacciare i ganci, ma mentre si affannava nel tentativo, entrò nella stanza suo fratello. Agata si voltò e cacciò un urlo, e per poco il corsetto non le cadde di mano.
- Giacomo! - urlò subito dopo, voltandosi perché non la guardasse.
- Ehi, potevi avvisare prima! - replicò lui.
Sollevò le mani e guardò altrove, ma la ragazza era talmente scossa dalla sua presenza che non riuscì in alcun modo nel suo intento e alla fine sbuffò.
- Hai bisogno di un aiutino? - la voce timida del fratello le giunse dall'ingresso, dove se ne stava, guardando il soffitto. - Altrimenti mi tocca andarmene di nuovo fuori. 
Agata sentì il volto divenire bollente e per un attimo rifletté se urlagli di sparire, ma alla fine capì che non sarebbe servito a nulla, Giacomo la conosceva sin da bambina e con lei aveva condiviso tutto, anche la nudità.
Ma ora è diverso, sono una donna... Non dovremmo nemmeno dormire vicini, pensò indecisa.
- Va bene, purché non guardi - disse alla fine.
Udì i passi del ragazzo avvicinarsi e fermarsi appena dietro
di lei.
- E cosa c'è che non abbia già visto? Dai Agata, non essere stupida! - le disse con tono seccato.
Agata sentì le sue mani che afferravano i lati del corsetto e subito dopo un tremendo strattone le mozzò il respiro.
- Piano! Così mi soffochi! - riuscì a dire con voce strozzata.
- Accidenti credo che tu sia ingrassata. Non ti entra più! - replicò Giacomo, che a furia di stringere era riuscito a chiuderlo.
- Non sono ingrassata! Sono solo cresciuta! - Agata si staccò da lui non appena capì che aveva finito.
I ferri del corsetto le facevano male ai fianchi e i seni dolevano, costretti com'erano in quel pezzo di stoffa, tuttavia era l'unico che aveva e non poteva permettersene un altro. Si voltò e squadrò in malo modo il fratello, ma lui si era già allontanato come se nulla fosse.
- Non sono più una bambina, Giacomo, è ora che te lo metti in testa - gli disse, mentre s'infilava un lungo vestito di cotone verde e slegava i capelli.
- Per me sei e sarai sempre la mia sorellina.
- Ma se abbiamo entrambi quindici anni! - Agata gli si avvicinò seria.
Non le piaceva essere considerata una bambina, non più almeno. Ormai Amelia le affidava compiti sempre più importanti e ciò significava che era cresciuta e che ormai era diventata una donna a tutti gli effetti.
- Lascia stare, non puoi capire - Giacomo si voltò a guardarla e con un gesto veloce le tolse un filo di paglia incastrato tra i capelli. Poi si girò e uscì.
Agata rimase lì a fissare la porta chiusa per interminabili attimi. Amava suo fratello, erano gemelli e qualcosa di forte li legava, oltre alla dura infanzia che entrambi avevano condiviso. Ma a causa della grande diversità d'animo certe volte si chiedeva se davvero fossero figli della stessa donna. Scosse la testa e sorrise, si coprì con una pelliccia di pecora logora e si preparò per andare al mercato. Era tardi e Amelia la stava di certo aspettando. Così uscì e dal cortile lanciò un ultimo sguardo al fratello che, appoggiato al recinto accanto alle stalle, osservava le capre mentre mangiavano."

IO SONO JO MARCH: DAL GRUPPO FACEBOOK AL MAGAZINE

Oggi vorrei parlarvi di un'iniziativa nata per caso e trasformatasi in uno splendido Magazine tutto al femminile: Io sono Jo March.
L'idea è partita da Connie Furnari, amministratrice dell'omonimo gruppo Facebook "Io sono Jo March - Scrittrici e Lettrici alla riscossa" (di cui faccio orgogliosamente parte), e scrittrice di numerosi romanzi e racconti. Il gruppo, tutto femminile, era stato da lei creato per riunire autrici e lettrici italiane desiderose di condividere la loro passione, le loro esperienze e soprattutto la voglia di aiutare le loro colleghe. 
Tra un discorso e l'altro è dunque venuta fuori l'idea di creare un Magazine mensile ispirato al gruppo, in cui inserire stralci di romanzi di diversi generi letterari e le biografie degli autori, racconti, articoli di blog e interviste. La proposta è stata accolta con grande calore da tutti i membri, che si sono subito prodigati per renderla una realtà.
Così, come vuole lo spirito del gruppo, ognuno si è occupato di qualcosa: chi ha realizzato la cover, chi l'impaginazione, chi il trailer. Poi ci sono state le blogger che si sono messe in gioco con articoli vari, autrici che hanno scritto dei racconti in tema con l'imminente festa di Halloween (ricorrenza a cui si ispira questo primo numero della rivista), e infine le romanziere che hanno voluto inserire stralci dei loro romanzi.
Ne è scaturito un piccolo gioiello ricco di spunti per tutti gli appassionati di lettura!


Il Magazine è online e si può scaricare gratuitamente a questo link:
https://drive.google.com/file/d/0B1BNJzIdWSANOHVhMER2aUs3dkU/view?pli=1
E' in formato pdf quindi volendo potete anche salvarlo sui vostri e-reader e leggerlo in tutta comodità ovunque vi troviate! Questo mese abbiamo dato ampio spazio a romanzi di diversi generi narrativi (fantasy, storici, romance) e l'avvicinarsi di Halloween ha ispirato le nostre blogger e le nostre autrici, che hanno dato spazio alla fantasia con i loro articoli e racconti.


Buona lettura!!